Il Paese che, a giusta ragione, era definito
la culla del diritto, ora è divenuto il postribolo del rovescio, lo è in tutto,
quindi anche nella macchina della giustizia.
Ancora una volta, gli interventi settoriali
e malfatti, proposti da una masnada di buoni a nulli, appaiono volti unicamente
ad impedire il soddisfacimento della sete di giustizia, addirittura facendo
apparire come conquiste di civiltà veri atti iniquità e di devastazione di
conquiste acquisite al patrimonio comune. Ma è ormai in atto un disegno criminoso
delle istituzioni e della casta (la vera
e la più pericolosa) della Magistratura, con la complicità di parte dei media,
per delegittimare tutti i presidi di garanzia del cittadino, creare uno stato
di polizia in tutti i campi, fiscale, civile, tributario, pubblica sicurezza,
prevenzione, sport.
Come se non bastasse, la privacy, o
meglio, il diritto alla riservatezza, è ormai svuotato di ogni contenuto, per
essere stato soppiantato dallo spionaggio continuo in ogni settore, dal profilo
ludico a quello finanziario, nessuno escluso.
Ma andiamo con ordine. La recente
puntata della trasmissione killer su raitre, Report, ha dedicato ampio spazio
ad una sorta di valutazione comparata (e sinceramente unilaterale, oltre che
atecnica) tra la giustizia penale italiana e quella americana e inglese (come
se dovessimo emulare esempi di paesi lontani anni luce dalla nostra cultura
giuridica e dalla civiltà in generale). In tale contesto, la lente del giustizialista
– giornalista puntava il dito sulla prescrizione del reato, descrivendola come
la causa principale – udite udite - del mal funzionamento della giustizia
italiana. Inoltre, tale istituto, di assoluta civiltà e garantismo, veniva
mostrato come abusato dai difensori e, in maniera particolare, da chi poteva
ottenere differimenti sine die perché principe del foro o plurimandatario in
cause importanti.
All’improvviso l’accorto giornalista
poneva la domanda al meraviglioso magistrato intervistato nel servizio, precisamente
se la prescrizione esisteva negli ordinamenti americano e inglese e il
magistrato intervistato cosa faceva? Immediatamente, a conferma della sua
efficienza in tempo reale, telefonava dinanzi alla telecamera ai suoi colleghi
inglesi e americano, ai quali prima chiedeva lumi sull’esistenza della
prescrizione del reato e poi sulla eventuale adozioni nei loro Paesi
dell’amnistia e dell’indulto. La risposta era ovviamente negativa per entrambe
le domande, tanto che poi si approfondiva la questione e il messaggio che si
dava al telespettatore era, peraltro espressamente invocato per il tramite di
altro tecnico del diritto del common law, la possibilità di perseguire chiunque
per qualsiasi reato e in ogni tempo, senza la presenza di questo fardello della
prescrizione. Spenta, la televisione mi sentivo assalire da una grande
preoccupazione. Gli interventi del legislatore sulla normativa sostanziale e
processuale erano, dal dopoguerra in poi, caratterizzati da isterismo, tecnica
di redazione delle norme a dir poco allegra, introduzioni di istituti ibridi e
da normative spesso contraddittorie, ma, almeno sino al 1989 – 1990, la spinta
al processo accusatorio, quale espressione principale di garanzia e presidio di
giustizia, aveva tenuto alto il profilo della tutela dell’imputato, tanto che
il meraviglioso meccanismo del codice Rocco, poteva essere soppiantato solo da
una riforma ispirata ad esigenze superiori di tutela del soggetto sottoposto a
procedimento penale. Fino ad oggi nessuno aveva mai posto in discussione le
garanzie di cui devono godere gli imputati e i meccanismi previsti dal codice
di rito per salvaguardarle.
Ma il tentativo, chiarissimo e sfrontato,
con cui si tendeva a far breccia nelle ignare coscienze dei telespettatori attraverso
l’abrogazione della prescrizione, è un chiaro tentativo di violare il diritto
di difesa e, nel contempo, l’altro, non di poco conto, di sollevare la
magistratura dal dovere di agire e lavorare nel rispetto della legge,
garantendo al massimo l’imputato (chiunque esso sia), evitando che la giustizia
si trasformi in arbitrio.
Infatti, chiunque può trovarsi
sottoposto a procedimento penale (e nella maggior parte dei casi risulterà del
tutto estraneo ai fatti), per cui la predeterminazione di un termine entro il
quale lo Stato possa sottoporlo a processo non costituisce affatto fattore
criminogeno, ma scelta di civiltà giuridica che non può essere inficiata
dall’abuso o dalle storture che possono comunque esserci nell’uso di qualsiasi
strumento e funzione, anche la più lecita e legittima. Immaginiamo cosa
accadrebbe se un soggetto dovesse subire a 50 anni un processo per aver
partecipato ad una rissa a 19 anni!
Dopo pochi giorni, il governo si
affacciava nuovamente alla ribalta con una roboante conferenza stampa, dove sfoggiava
la soluzione per il sovraffollamento delle carceri, inserendo anche alcune
chicche per il processo civile. La preoccupazione iniziale si trasforma in
stato d’ansia.
Per quanto riguarda l’ignobile
problema degli istituti di pena, a fronte di una popolazione carceraria che
eccede di circa 30.000 unità quella che le strutture riescono a contenere, si
profila una soluzione che, senza automaticità – come ha avuto modo di affermare
tronfia il ministro dell’ingiustizia e del doppio peso – potrebbe semmai
interessare 1.700 detenuti. Quindi, nessuna soluzione, la questione resta
gravissima e lo stato di chi è recluso permane al di sotto della soglia
animale.
Ma sulla giustizia civile il disegno
criminoso e liberticida del governo diviene definitiva certezza.
Ecco, in breve, le proposte confluite
nel ddl, dopo che nell’estate scorsa, erano stati aumentati i contributi per le
iscrizioni e ruolo della cause fino alla metà in più per l’appello e il doppio
per il ricorso in Cassazione.
a) Scelta del rito rimessa all’arbitrio
o eufemisticamente alla discrezionalità del Giudice, a condizione che la causa
sia di semplice soluzione. Scelta difficile, poiché tutte le cause sono
semplici se si colpisce nel segno, così come diventano difficili se si assumono
decisioni errate. L’eliminazione del principio dispositivo impedisce il
concreto esercizio del diritto di difesa anche in ordine al diritto alla prova,
poiché, se il giudice trasforma il rito, la parte non avrà più la possibilità
di recuperare sul piano istruttorio e la verità processuale, minima espressione
di giustizia sostanziale, va a farsi benedire in attesa dell’esecuzione.
b) Viene introdotto il Giudice unico
anche in II grado per determinate cause, così il controllo che consegue ad una
composizione collegiale e lo stimolo a migliore verifica diventano chimere di
tempi passati e aneliti da sopprimere;
c) Motivazione apparente e a pagamento in I grado, poiché si consente
al giudice di effettuare un semplice e mero richiamo ai fatti causa accompagnato
alla semplice indicazione delle disposizioni legislative sulla base delle quali
l’autorità giudiziaria ha deciso in un senso o nell’altro. La motivazione potrà
essere solo richiesta dalle parti, ma queste dovranno versare una quota, al
momento non chiarita né esattamente determinata, del contributo unificato per
il grado di appello, per poter comprendere le ragioni della scelta operato dal
giudice. Chissà, poi, se i proventi (estorsivi) per conoscere le ragioni di un
accoglimento o un rigetto, andranno a creare un fondo incentivante per i
Magistrati ! Penso che una scelta del genere non meriti altro appellativo per
chi l’ha approvato in sede di cdm (consiglio dei mascalzoni) di vergognarsi. E’
la fine del diritto e l’inizio del rovescio, con il definitivo riconoscimento
del potere assoluto dei giudici non più sottomessi alla legge, alla motivazione
e al controllo nei gradi successivi, ma semplicemente alle loro scelte
meramente potestative e, quindi, all’arbitrio. Il sistema dei controlli, che
garantisce lo stato democratico vale per tutti tranne per i magistrati che
decidono, però, su tutti e li segnano a vita. L’approvazione di un parlamento
non più rispondente a coscienza morale ma ad ordini di scuderia anche se questi
calpestano i diritti basilari, consentirà all’ingiustizia di fare purtroppo il
suo corso legislativo.
d) La motivazione diventa apparente e finanche
per relationem in II grado. In altri termini, in appello la Corte, che già per
alcune materie potrà decidere in composizione monocratica e nella forma della
petizione di principio come indicato nel punto b), potrà legittimamente riportarsi,
nella decisione di II grado, alle motivazioni (di per se già telegrafiche e
spesso criptiche) del giudice di prime cure, senza alcun altro adempimento!
L’abrogazione della motivazione coniugata all’insussistente fase del riesame
della decisione di I grado costituisce segnale di una barbarie giuridica che
evidentemente è seconda solo a quella morale e di onestà culturale di chi l’ha
pensata e di chi l’approverà.
e) E’ stata anche pensata l’introduzione
della condanna preventiva ad una somma di denaro per gli obblighi di facere infungibili,
in merito alla quale andrà verificato il criterio, poiché non è legittimo
consentire al giudice di creare una sanzione civile indiretta.
f) È prevista anche l’introduzione, non
si comprende come e sulla base di quali presupposti, di un accertamento tecnico
preventivo nelle materie particolarmente tecniche. La questione delicata è se
tale scelta costituisca condizione di procedibilità e, soprattutto, se l’esito
dell’accertamento condizioni la domanda. Inoltre, come creare il
contraddittorio all’interno della fase di accertamento, tenuto conto che
l’acquisizione probatoria preventiva non può essere certamente
procedimentalizzata, ma deve garantire il contraddittorio al fine di epurare
errori tecnici, che pur esistono e che dovranno essere epurati prevedendo che
l’accertamento tecnico, che sicuramente non è una sentenza che passa in
giudicato, debba avere una fase di controllo e verifica. Diversamente, l’ingiustizia
è completa, ma forse è propria questa la ratio cui tende il nostro legislatore.
g) Diverrebbe possibile, altresì, per
gli Ufficiali Giudiziari, nel momento in cui eseguono il pignoramento, accedere
alle banche dati per meglio conoscere il patrimonio del debitore. La
circostanza, pur se apprezzabile, non deve condurre all’aumento dei costi per
il soggetto procedente e comunque deve essere una scelta discrezione di
quest’ultimo, altrimenti si giungere a forme di vessazione del soggetto
creditore non soddisfatto, come è avvenuto con il famigerato istituto delle
vendite giudiziarie che, oltre ad aver spesso surrettiziamente condizionato
aste solo apparenti, ha anche costituito fonte di gravosi ed ingiustificati
costi.
Tali improvvide scelte, che –
peraltro – si aggiungono ad una gestione delle sentenze utilizzando la condanna
alle spese di lite come strumento deflattivo, così che la sentenza sbagliata
resta confermata per la paura di costi elevati in caso di appello. La finalità
di sconsigliare l’appello, facendo cadere una mannaia finanziaria pesante su
chi lo propone, non è altro che la conferma del grave disagio che viviamo,
perché chi si rivolge alla giustizia viene criminalizzato e non affiancato,
come dovrebbe essere quale logico corollario di un processo di prossimità tra
cittadino e stato.
Ai predetti rilievi deva aggiungersi
che la macchina della giustizia funziona, in verità, grazie ad un elevato
contenzioso affidato e smaltito dai Giudici di Pace, magistrati onorari, privi
di alcuna stabilità e che saranno ad horas drasticamente ridotti. Il
contenzioso affidato alla indicata magistratura onoraria non è affatto
inferiore a quello dei togati ed anzi consente una riduzione dell’aggravio per
i Tribunale mai considerato sino a fondo. Al Giudice di Pace si aggiunge la
pretora di VPO (avvocati o laureati in giurisprudenza che hanno svolto
specifiche mansioni riconosciuto come cause d’accesso alla carica onoraria) che
sgravano i PM togati dalla udienze fiume e dal lavoro in trincea e i GOT
(avvocati che si dedicano a funzioni giurisdizionali sempre onorarie e non
retribuite), che in alcuni realtà giudiziarie rappresentano la colonna portante
del Tribunale e ne consentono ancora un barlume di efficienza. Tutti questi soggetti sono i veri precari
della giustizia, anche se sino ad oggi sono stati stabilizzati con proroghe
sine die, e sono posti – in verità – al servizio del magistrato togato, poiché
ne riducono sensibilmente il lavoro consentendogli carichi di lavoro sicuramente
sostenibili.
Ebbene, a chi già ha generalmente
benefici, riconoscimenti, poche spese, tempo per se e per la famiglia e,
circostanza di una gravità assoluta, alcuna responsabilità per i propri atti
(se i Magistrati applicassero su se stessi la rigida e pesante mano
sanzionatoria derivanti dal solco giurisprudenziale attuato per i casi di
responsabilità medica, quanti ne rimarrebbero in servizio?), vogliamo anche
ritenerli per legge non obbligati a lavorare. Via la motivazione, introduzione
di sentenza prestampate con meri richiami, anche con semplici crocette, alle
norme invocate, rinvio per relationem a sentenze che già in primo grado sono
del tutto apparenti, Giudice unico in appallo e via dicendo. Diciamola tutta,
lo Stato è diventato punitivo e sanzionatorio per chi ha in animo di agire in
giudizio, contestualmente creando una mostruosa casta che lavora se, quando,
quanto e, soprattutto, come vuole, senza che alcun altro soggetto possa controllarla.
Tra breve si immetteranno i dati in un computer e, dopo pochi secondi, esce la
sentenza, così via i giudizi, gli avvocati, i cancellieri e avremo la società
degli schedati.
Se poi aggiungiamo le vessazioni del
sistema tributario e fiscale, il disservizio sistemico della pubblica
amministrazione, la fine della sovranità monetaria, la truffa del debito
pubblico, la funzione politica ridotta ad esattore di un’Europa ingorda ed
usuraia, il quadro è completo. La scusa della riduzione dell’inesistente debito
pubblico con i tagli e gli enormi costi sociali, crea l’espulsione di milioni
di persone dal livello minimo di vita: mi chiedo cosa resta dell’Italia?
Il sistema bancario che crea moneta
virtuale e indebita l’intera collettività, l’agenzia delle entrate che vessa i
cittadini ed agisce con la famigerata Equitalia in evidente conflitto
d’interessi e con una sorta di cappio al collo.
E’ la società della disperazione e
per uscirvi non può esservi altra scelta
che la rivoluzione.
Infine, il terrore mi assale, quando
ascolto il Presidente del Consiglio Letta che, per giustificare la pressione
fiscale in una della solite riunione tra i vari ministri europei, asserviti
alla grande finanza, in risposta alla giornalista che gli chiedeva come potrà essere
sopportata una pressione fiscale sempre maggiore, risponde candidamente o
malignamente: “Non possiamo mica stampare denaro” !!!
Caro Letta, ma se uno stato non
stampa denaro che senso ha? Riflettici! Poi però ho riflettuto anch’io e mi sono
domandato, ma lo ha detto perché si riconosce impotente dinanzi al sistema bancario e della grande finanza che ci domina e che
riserva il signoraggio primario alla BCE o perché non lo sa?
Il terrore ora è anche coniugato disperazione,
quella che ti prende quando capisci che il tessuto di una società è stato
minato in radice e l’indebolimento delle
coscienze è giunto fino al punto da farci accettare supinamente ogni
affermazione e decisione, anche quella che ci porterà alla fine.
A noi la scelta, accettare o
ribellarci per ritrovare la speranza di un mondo migliore.
Antonio
Pimpini