Da piccola, nei miei giochi immaginifici, ero solita
dare una configurazione a tutto quanto accadeva; non dovevo andare lontano
perché tutto era vicino, a portata di mano. Ero abituata ad ascoltare e leggere
storie che mi permettevano di viaggiare e ricercare, nella sua gratuità, il
bello in tutte le sue forme. I bambini, si sa, vivono nel sogno e come tanti
bambini, anche io, ad occhi aperti, vivevo i miei sogni. Tutto era desiderabile
ed acquistava una connotazione di perfezione e di idealità. Bastava anche la
copertina di un libro nuovo profumato di stampa calda o alcune frasi percepite
con la sola coda dell’occhio, per attivare “meta romanzi” che in una rapida
sintesi mi avrebbero permesso di costruire storie fantastiche. Insomma… viaggiavo e viaggiare mette
allegria; preparavo la mia valigia e partivo verso traguardi lontani, piena di
aspettative, desiderosa di cambiamenti.
E’ inimmaginabile il piacere che sentivo e in quella
esperienza ci mettevo tutto. In genere c’era sempre un treno che partiva,
c’erano biglietti vidimati all’ultimo momento, c’erano stazioni affollate dove
arrivavo di corsa, con un cappellino che volava e poi il fascino di uno
scompartimento dove si incontravano le
persone più strane, molto belle o molto brutte, avvolte nel loro
mistero, che avrei cercato di individuare con uno sguardo fugace che avrei
nascosto, anche in questo caso, dietro le pagine del libro del momento, o solo
guardando fuori dal finestrino del treno in corsa, per veder scorrere paesaggi
verdi, innevati o velati da malinconiche nebbie.
Dai miei viaggi, siano stati essi reali o semplicemente pensati o immaginati, tornavo cresciuta,
evoluta, grande. Avvicinavo realtà nuove e la freschezza dell’età mi faceva
gioire di tutto, mi faceva sentire esperta, capace di affrontare quel grande
mondo del quale stavo conoscendo un piccolissimo frammento, che però ne
costituiva la forma. La curiosità era
tanta; quanta gente incontravo in quei brevi, lunghi viaggi. Era un laboratorio di vita e di esperienze al
quale, più tardi, mi sarei abituata e
forse, chissà … in futuro, a fatica
avrei sopportato. Quando alla sera la
corsa sarebbe finita e con il naso pieno di fuliggine sarei
sprofondata in un sonno ristoratore, avrei rivisto scorrere nella mente i volti
di quanti avevo incontrato.
E se è vero che la memoria è quello che scegliamo di
ricordare, anche l’avvento di un nuovo
anno rappresentava la malinconica attesa di qualcuno che si era messo in
viaggio; c’era un anno che partiva ed un altro che arrivava. Un nuovo anno con le sembianze di
un giovane forte e borioso su un grande carro, con un seguito di gente
festante; l’anno vecchio, al contrario, solo e malconcio, che abbandonava la scena per affrontare l’ultimo
percorso, portandosi dietro un tempo ormai logoro, andato. Confesso di avere sempre simpatizzato
per il vecchio anno povero e solo ma… si sa,
il tempo si conclude
ed è giusto che lasci il suo spazio. E allora non ci resta che incamminarci
festanti con l’anno giovane, appena
giunto e ripartire decisi per un
nuovo, fantastico viaggio.
Auguro un felice 2013 a tutti i lettori di
AbruzzoPress.
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