L’annuncio, tragico e nefasto, che Monti intende
distruggere l’Italia, proponendosi di scendere in politica, non sarebbe nulla
se non fosse accompagnato da un nutrito gruppo di forze politiche che appoggia
la scelta improvvida. Non solo, ma il Monti nazionale intende anche sottrarsi
al vaglio delle urne, evidentemente troppo disdicevole per la sua elevata
persona. Lui, graziosamente, interverrà unicamente per guidare il governo
quando gli altri avranno vinto la competizione elettorale, dopo che i cadaveri
sono stati rimossi dal campo di battaglia e i feriti hanno eroicamente
consentito la sua guida.
Una specie di ET della politica che si concede come
una bella donna che mette alla prova i pretendenti e poi diventa tiranna
assoluta del regno. Ma sin qui, in ragione del fatto che siamo in Italia, non
vi sarebbe alcuna particolarità, non che il futuro capo del governo si faccia
fuori dalla lotta elettorale, non che un Paese (per la verità solo una parte
che mi auguro sia assolutamente minoritaria) voglia sostenere chi ha
sostanzialmente svolto funzioni di commissario giudiziale e liquidatore nella
fase del concordato preventivo dell’Italia, al solo e riconosciuto fine di
soddisfare gli interessi della massa dei creditori, né che siano stati aboliti,
in nome dell’insostenibilità del debito italiano e dei rigori comunitari,
presidi e garanzie acquisiti nel patrimonio nazionale e giustamente ritenuti
inderogabili e non più rinegoziabili, come il diritto al lavoro, all’accesso
alla giustizia garantito a tutti, all’esercizio dell’impresa e così via.
Tuttavia, come se non bastasse, preoccupano anche le
alternative a quanto ci prospetta Monti con la sua agenda, che speriamo vada
persa per il bene comune.
Da un lato, il centro sinistra, forcaiolo e
giustizialista, che ha definitivamente abbandonato la precedente posizione
garantista, per trasformarsi in un paladino della legge, ritenendo addirittura
che la candidatura di un magistrato, a prescindere dagli apprezzamenti sulla
persona, costituisca scelta di contenuto e vittoria mediatica che consente di ipotecare
il futuro esito elettorale. Non il PDL che individua incredibilmente nella BCE
l’organo che garantirebbe una soluzione della tempesta finanziaria europea,
dimenticando che, in realtà, l’istituto di emissione è già da tempo padrone
assoluto d’Europa, per cui affidarsi a lei ricorda tanto la favola di
Cappuccetto Rosso, con l’aggravante che chi fa la parte della bambina non è
proprio uno sprovveduto o un’educanda di collegio.
Non vi sono dubbi che la scelta di Grillo è (direi
anche finalmente) di rottura con il passato e come tale deve ricevere
apprezzamento, proprio perché se è vero che - per definizione o per
preparazione – chi avrebbe dovuto essere in grado di governare ci ha portato a
questo punto, sicuramente consentire all’uomo della strada, senza
sovrastrutture che lo dominano, di accedere alle leve del potere, proprio per
la sua non familiarità con la naturale contaminazione che il sistema ha come
effetto collaterale nel suo seno, non potrà che dare risultati positivi.
Tuttavia, anche qui troviamo le mezze verità. Si individua il problema della
grande finanza e delle lobby bancarie, ma non si colpisce nel cuore il nemico,
cioè il signoraggio bancario e la sovranità monetaria. Quindi, si continua a
parlare di ripianamento del debito pubblico e di reddito
di cittadinanza, dimenticando che se non si dichiara la proprietà della moneta
dei cittadini, cioè se non si toglie il signoraggio alla Bce, si tratterà di
semplice elemosina, non di riconoscimento di un diritto a contenuto
patrimoniale. Anche il tentativo di abbattere o azzerare l’incidenza degli
interessi sul debito pubblico, rappresenta sempre una visione parziale che non
guarda al nucleo del problema.
Gli interessi, infatti, sono un accessorio del debito
principale, ma è proprio quest’ultimo che non esiste. Il prestito della moneta
dalle banche (di emissione e di finanziamento) ai singoli stati non ha ragion
d’essere, perché la moneta è dei cittadini e, quindi, appartiene allo stato
stesso (inteso come società organica), non può quindi appartenere alle banche
che dovrebbero semplicemente stamparle (funzione tipografica della banca
centrale), ovvero gestire un bene altrui, dei cittadini e quindi dello stato
(funzione di gestione del finanziamento delle banche di credito come gestione
di cose altrui).
Oggi, seppur è vero che vi è una dicotomia tra grandi
centri finanziari e sistema bancario, il problema è e resta quello della
proprietà della moneta. Se, infatti, il signoraggio primario viene attribuito
all’istituto di emissione, che così si arroga il diritto di essere proprietario
della moneta, lo stato continuerà ad indebitare con il sistema bancario, dalla
banca centrale a quelle di erogazione del finanziamento e il debito non potrà
mai essere onorato poiché il tentativo (di per se vano) di ridurre la spesa non
potrà mai giungere all’eliminazione del debito: se non cambia il sistema ogni
giorno c’è un indebitamento truffa con il sistema bancario. La BCE , infatti, si attribuisce
il reddito da signoraggio, presta il denaro allo stato, lo stato si indebita
con i buoni per reperire le risorse e dovrà restituire il credito in linea
capitale con gli interessi. Tuttavia, anche se rastrellasse tutto il denaro in
circolazione e lo versasse ai suoi creditori bancari, ogni stato rimarrebbe
sempre debitore, sia perché la quota interessi, ipertrofizzata sino
all’inverosimile, non riuscirebbe mai ad essere onorata anche per carenza di
denaro in circolazione, sia perché ogni emissione di denaro avviene a debito e,
quindi, sempre non potrà condurre all’azzeramento dell’indebitamento. Se invece
la moneta fosse dichiarata di proprietà dei cittadini e, in ragione di tale
attribuzione patrimoniale ad ogni singolo avente diritto, dello stato, al
signoraggio bancario si sostituirebbe il signoraggio di popolo e si potrà
finalmente attribuire il reddito da cittadinanza, come espressione di diretto
sociale a contenuto patrimoniale, da riconoscersi in eguale misura ad ogni
singolo cittadino per il sol fatto di esistere e senza alcun corrispettivo,
proprio perché il valore monetario non risiede nella materia ma nella convenzione
sociale.
La soluzione per superare questo stato di coste è
unire i diversi, eliminare i contrasti che giovano solo a chi vuole che la
situazione rimanga la stessa, ricercare l’armonia e far sì che, dinanzi alla
salvezza del futuro e del proprio presente, prevalga l’uomo come tale, rispetto
alle peculiarità ideologiche, in modo che gli estremi e i contrari si uniscano
e si attraggono, sul presupposto che vi sia un minimo comune denominatore, la
buona fede di tutti nel sostenere le proprie idee anche se attestata su
posizione divergenti per provenienza, cultura e sensibilità.
E’ giunto il tempo in cui le forze sane di un Paese
devono unirsi contro il nemico comune, come se la terra fosse invasa da alieni
con finalità di genocidio.
Se vi sarà questa unione trasversale, allora la lotta
contro il signoraggio bancario e il riconoscimento della sovranità monetaria
allo stato, potrà avere speranze di esito positivo. In tal modo, il reddito di
cittadinanza non sarà elemosina, ma costituire la fonte per garantire la vita
ad ognuno, poiché ogni cittadino avrà il diritto di ricevere la quota del
signoraggio che gli compete senza dover ringraziare nessuno. Inoltre, il debito
pubblico potrà finalmente essere accertato come inesistente e la vita tornerà ad
essere serena o almeno non condizionata dal debito creato surrettiziamente
dalla grande usura bancaria, i popoli saranno liberi e il libero arbitrio potrà
finalmente essere concreto. Ci riusciremo? Chi ama far politica e soprattutto
il popolo e la terra cui appartiene, provi a crederci.
Antonio Pimpini
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