sabato 10 agosto 2013

In ricordo del prof. Auriti: la continuità del suo pensiero e l’attualità di una rivoluzione ormai innescata (di Antonio Pimpini)

Contro chi lottava il prof. Giaginto Auriti? Contro chi strumentalizzava l’uomo, contro le strategie culturali di dominazione e tutte  le forme di società strumentalizzanti che, in modo più o meno occulto, si nascondono dietro soggettività artificiali al solo fine di sottomettere l’uomo. La sua battaglia culturale tende ad emancipare la persona umana per farla veramente libera e titolare esclusivo dei benefici che il vivere associato crea. La fisiologia del diritto è, in buona sostanza, condizione per l’attuazione della libertà, cioè quella conforme al diritto naturale e che, per ciò stesso,  riconosce i valori etici fondamentali, dove la persona umana utilizza a suo beneficio tutti gli strumenti che crea, tra i quali quello più importante è il valore monetario. Il prof. Auriti amava dire che “ Lo spazio coincide solo col presente, tutto il resto è tempo”! Da tale premessa anche il senso dello stato e della cosa pubblica in generale assumono un significato chiaro. Ma vediamo perché vi è un’incompatibilità assoluta tra Lui (e noi che ne condividiamo il pensiero) e i suoi detrattori.
Auriti afferma che la dimensione oggettiva del tempo è solo il presente, con la conseguenza che solo in tal senso può parlarsi di oggettivazione del tempo. Per giungere a tale affermazione, occorre precisare che il punto di osservazione della successiva analisi interpretativa è quello del soggetto pensante, per cui si comprende che egli ha la capacità di ricordare e quella di ipotizzare il futuro. Di conseguenza se è l’io pensante da cui partire, lo spazio è unicamente il momento presente (che è momento pensante), mentre il ricordo o la previsione del futuro sono al di fuori dello spazio, cioè “sono tempi pensati e non pensanti”.
Conseguentemente, il valore è un rapporto tra fasi di tempo, quello della previsione e quello previsto, da cui discende il classico esempio della penna, che ha valore perché prevedo (momento della previsione) lo scrivere e il momento della realizzazione della previsione (tempo previsto), appunto lo scrivere. Dal ché il valore è tempo, non è spazio, con il corollario che il giudizio di valore può ritenersi fisiologico unicamente se si distingue il momento strumentale (che attiene all’oggetto) dal momento previsto (che è prerogativa esclusiva del soggetto). Solo il soggetto può godere dello strumento, mai uno strumento può usare un soggetto! Al contrario, quando si confonde la fase strumentale con quella soggettiva, il giudizio di valore entra nella patologia e crea le aberrazioni più grandi della storia, perché dietro lo strumento vi è sempre l’uomo, per cui alla fisiologia, cioè al bene comune della collettività, si sostituisce una soggettività strumentalizzante che usa la società strumentale e, quindi, in ultima analisi, una piccola cerchia di persone domina la collettività.
Nell’emissione monetaria la patologia è evidente, poiché la banca centrale, al più titolare dei simboli monetari, si appropria addirittura del valore monetario creato dalla collettività, sottomettendo la collettività stessa, privandola così di ogni possibilità di sopravvivenza, (ab)usando, per giungere a tale devastante risultato, la società strumentale Stato.
Ciò avviene perché – in chiara mala fede – la Banca centrale ritiene che il valore costituisca una caratteristica intrinseca al simbolo monetario, cioè sia coevo alla materia, mentre è conseguenza della convenzione sociale. Inoltre, in tal modo,  il valore viene spacciato come una dimensione dello spazio, mentre esso è una dimensione del tempo.
Il valore non può essere cercato nello spazio, cioè nel presente, ma nel tempo.
Il momento strumentale è presente, cioè è quello della previsione, l’unico che si oggetti vizza nel tempo. Se, invece, si confonde il momento strumentale con quello previsto, che riguarda e compete unicamente al soggetto, si confonde l'oggetto col soggetto e quindi il momento strumentale, oggettivo, con quello edonistico, soggettivo. In questo modo, l’oggetto utilizza il soggetto, ma siccome un’affermazione di tal fatta è assolutamente impossibile, perché dietro ogni strumento (società strumentale) vi è sempre la persona umana che lo usa e ne gode, possiamo finalmente comprendere la ragione della nascita delle varie forme di società strumentalizzanti: la mafia, la massoneria, l’abuso del sindacato di voto e via dicendo, cioè la personificazione dello strumento. La banca centrale opera in questo modo poiché emette dei meri simboli, che assumono valore di moneta perché la collettività li accetta come valore della misura e misura del valore e li utilizza per le transazioni economiche. Solo grazie alla convenzione sociale la moneta ha valore e solo in virtù della presenza di una collettività la moneta ha ragion d’essere, altrimenti il governatore della banca centrale, nel classico esempio dell’isola deserta, se stampa moneta e non vi è la base umana che l’accetta e la utilizza, potrebbe fare un uso assai limitato dei simboli così creati, certamente non quello di moneta.
Cosa argomenta invece la banca di emissione, cioè il nemico principale del prof. Auriti (ed anche nostro)? Afferma  che i simboli stampati su carta acquisterebbero la funzione e il valore di moneta allorché l’istituto li immette nel mercato e ne trasferisce la proprietà ai percettori. Cioè con una sola affermazione si dicono due grandi fandonie. La prima è che il simbolo cartaceo avrebbe valore intrinseco, sarebbe cioè dotato di valore monetario ex ante, quando è ancora nelle fauci della bce. Di conseguenza, ed è la seconda bestialità, la banca d’emissione trasferisce la proprietà alla collettività, cioè ai cittadini e per essi allo Stato.
Le affermazioni confermano quanto detto in precedenza, cioè che vi è deformazione del giudizio di valore e si tende ad attuare una strategia culturale di dominazione, perché, da un verso, l’istituto di emissione pretende di definire il valore come prerogativa della materia e, nel contempo, incorre nel gravissimo (e voluto) errore di considerare il valore nella dimensione dello spazio, mentre è caratteristica esclusiva del tempo. Infine, afferma che il valore monetario risiede nella materia, mentre è conseguenza esclusiva della presenza di una collettività umana che l’accetta come tale.
Dire cioè che la moneta è già tale al momento dell’emissione ed è di proprietà della banca di emissione, è falso ed è un’affermazione gravissima e devastante per tutte le collettività nazionali perché vuol dire espropriare la collettività del 100% del valore monetario. Ma non è tutto.  Se l’asserito trasferimento alla collettività avviene a titolo di prestito, come in effetti oggi è, la conseguenza è l’obbligo di restituzione, da cui discende un ulteriore indebitamento ancora del 100%. Il famoso 200% che indusse il prof. Auriti a denunciare l’allora governatore della banca d’Italia per usura, associazione a delinquere, truffa, falso in bilancio, istigazione al suicidio.  
Oggi continuiamo ad assistere inermi all’indebitamento dei singoli stati con la BCE, attraverso l’emissione di titoli di debito pubblico per ottenere moneta, quando invece la moneta dovrebbe essere semplicemente accreditata, a titolo originario, alle collettività nazionali. Non solo, le banche secondarie non finanziano, recte non erogano, ma investono sui titoli di debito pubblico, ritenendoli più remunerativi rispetto all’utilizzo che del denaro farebbero i cittadini e le imprese, togliendo così il sangue all’organismo sociale che, in assenza del sangue - denaro, non può sopravvivere. E ciò sempre senza considerare che, in ogni caso, la moneta è della collettività e, quindi, la oggettiva funzione pubblica del denaro dovrebbe imporre il divieto alle banche di svolgere attività di lucro e di investimento in strumenti di debito pubblico (anch’essi comunque da abolire per cessazione di ragion d’essere). Quindi, a sette anni dalla prematura scomparsa del prof. Giacinto Auriti, il suo messaggio profetico si fa rivoluzione: riconsegnare alla banca di emissione unicamente la funzione tipografica, attribuendo la proprietà della moneta ai cittadini e conseguentemente dichiarare l’obbligo a carico delle banche di raccolta del risparmio e di finanziamento di erogare denaro ai cittadini e alle imprese.
Una rivoluzione da portare a termine ad ogni costo, come ci insegnò.
Moneta di popolo contro moneta di banca. Il bene contro il male.                                             

A.P.

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